Arboreto alpino Gleno Arboreto alpino Gleno

I LEGNI DELLA VALLE DI SCALVE di Manfredo Bendotti

Presentazione
di Filippo Tagliaferri

Richiesto di presentare quest'ultima fatica di Manfredo Bendotti e dello staff di scalve.it, lusingato ma al tempo stesso anche un po' impensierito sul da farsi, ho creduto di cavarmela sviluppando brevemente tre diverse considerazioni.
In un opuscolo del 1869 intitolato "La Valle di Scalve", opera dello studioso iseano Gabriele Rosa, trovo questo periodo: "Valle di Scalve è l'unica della Lombardia serbante ancora la religione antica delle selve e possedente boschi e selve bellissimi". E mi affiora nella memoria il ricordo, risalente agli anni '60 del secolo scorso, di un cartello collocato a Vilminore, mi pare lungo la stradina del cimitero, che recava la seguente scritta: "All'ombra di una sola pianta l'uomo non è mai solo" (firmato: Gottardino).
Collego questi pensieri tra loro e al lavoro sugli alberi della Valle condotto oggi con strumenti moderni, ma soprattutto con passione e rigore, da Manfredo Bendotti e mi sembra di cogliere la continuità di un rapporto misterioso tra l'uomo, l'albero, il bosco, una sorta di legame, a sfondo quasi religioso, fortunatamente ancora vivo, per alcuni, qui in Valle.
Poiché stiamo parlando di boschi, alberi, arbusti, piante, approfitto per un breve ripasso di terminologia botanica, dato che spesso facciamo un uso impreciso di tali parole.
Partirei dal termine "verde" riferito alla sensazione più generica e immediata che si percepisce entrando in Valle: la gran ricchezza di verde. E' semplice rendersi conto che il verde è fatto di "piante". Ma cosa sono le piante? Sono esseri viventi dotati di radice, fusto, foglie, fiori destinati a diventare frutti contenenti i semi. Sono piante sia quelle che chiamiamo erbe, sia gli alberi e gli arbusti. Sono annuali le piante che nell'arco dell'anno si sviluppano dal seme, fioriscono, fruttificano, maturano i semi e muoiono (ad esempio molte erbe primaverili). Sono perenni le piante che hanno vita di durata indeterminata, fioriscono, fruttificano e danno semi ogni anno, anche per molti anni di seguito. Gli "alberi" e gli "arbusti" sono piante perenni, legnose. Gli alberi hanno grandi dimensioni e presentano un unico fusto (tronco) dal quale, in alto, si dipartono i rami. Gli arbusti invece hanno dimensioni ridotte, presentano più fusti originati da un ceppo comune e sono ramificati fin dalla base. Anche alberi e arbusti, come tutte le piante, "hanno fiori" che però spesso sono molto piccoli e poco appariscenti.
Merita accennare infine, anche se fugacemente, ai diversi paesaggi vegetali che si susseguono e ci accompagnano quando risaliamo la Valle e in cui alberi e arbusti svolgono il ruolo principale.
Lungo il solco della Via Mala penetrano le ultime espressioni della vegetazione termofila: carpino nero, orniello, viburni, cornioli. Di effetto spettacolare sono qui i popolamenti dei tigli e dei tassi che rivestono, abbarbicandosi, la verticalità delle rupi.
Nella parte mediana della Valle le condizioni climatiche favoriscono il costituirsi di boschi in cui prevalgono latifoglie che richiedono umidità e freschezza persistenti ma moderate ed escursioni termiche non eccessive: faggi, aceri, frassini. Gradualmente salendo, tra le latifoglie sempre più si inseriscono le conifere: abete rosso, larice, abete bianco, finché, avvicinandoci ai limiti superiori della vegetazione arborea, le conifere tendono a divenire esclusive componendo boschi puri o quasi puri.
In alto, il bosco dirada, diventa luminoso ed aperto sfumando nel pascolo. Con gli ultimi esemplari nani di abete rosso e di larice convivono il pino mugo l'ontano verde, il ginepro e numerosi altri arbusti che compongono la tormentata boscaglia efficacemente chiamata degli "arbusti contorti", espressione estrema della vegetazione arboreo-arbustiva.
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Il bosco, il legno, la memoria
di Gian Battista Sangalli

Sovente mi è capitato di parlare con persone, generalmente villeggianti, che, abitano in città o, comunque in pianura, giungevano per la prima volta in Valle di Scalve, e mi palesavano lo stupore di quando, affacciatisi sulla Valle dal Passo della Presolana, magari in un limpido giorno d'estate, vivevano una visione mozzafiato del panorama e sorgeva loro spontanea una domanda: "ma è tutto verde, sono tutti boschi! Ma dove sono le case, i paesi?"
Quest'aneddoto per spiegare l'importanza, estremamente evidente anche agli occhi di un profano, delle foreste scalvine in termini di superficie, dal momento che occupano circa il 40% del territorio complessivo, ben al di sopra della media di boscosità sia regionale che provinciale.
I boschi in generale ed il legno in particolare sono stati uno dei fattori che hanno fatto la fortuna della valle o che, comunque, ne hanno consentito lo sviluppo economico nel passato.
Il legno, di provenienza esclusivamente locale, era la materia prima fondamentale per la costruzione di tutti gli attrezzi in uso nella vita quotidiana, di buona parte delle abitazioni, dei mezzi di trasporto, per le attività produttive. Oggi abbiamo dimenticato, ma per rendersene conto è sufficiente visitare il Museo Etnografico di Schilpario e guardare con attenzione tutti gli oggetti esposti. Anche gli attrezzi metallici, molto numerosi, indirettamente dipendevano dal legno, perché era con il legno che si puntellavano e rinforzavano le volte pericolanti delle numerosissime miniere, ed era con il carbone di legna che si tostava il minerale di ferro e successivamente lo si fondeva nei forni e lo si lavorava nelle fucine.Gli alberi ed il legno erano altresì' fondamentali nelle attività agricole, basti pensare a tutti gli attrezzi utilizzati, allo strame per il bestiame, al fuoco necessario per le attività casearie.
Il fuoco del legno era ovviamente indispensabile anche per sopravvivere ai freddi intensi dell'inverno, quando ancora non c'erano metano, gasolio e nemmeno case ben coibentate. Insomma, la foresta e le piante erano un patrimonio fondamentale per la popolazione, e per questo i nostri antenati avevano nel corso dei secoli imparato a conoscere il bosco, a rispettarlo, ad utilizzarlo con raziocinio, codificando regole di coltivazione ben precise.
A differenza che nelle vallate vicine, grazie anche al clima particolarmente umido che consente notevoli accrescimenti, gli scalvini non esercitavano il taglio a raso, cioè completo su una superficie, ma il taglio a scelta, cioè utilizzando solo alcuni degli alberi maturi del bosco, rilasciando gli altri per un nuovo prossimo taglio.
In tal modo, il suolo non s'impoveriva, i paesi venivano protetti dalla caduta di frane e di valanghe ed il bosco poteva rinnovarsi naturalmente, senza la necessità di piantagioni artificiali come nel caso del taglio a raso. Ciò nonostante, secoli di sfruttamento hanno ovviamente modificato la composizione e la struttura delle foreste originarie, comprimendone le superfici forestali più rustiche, più amanti della luce, in generale, più utili alle attività umane, quali l'abete rosso ed il larice, a scapito soprattutto dell'abete bianco e del faggio.
Dal dopoguerra tutto è cambiato. Lo spopolamento, il venir meno delle pratiche agricole e della presenza dell'uomo sul territorio hanno comportato anche il progressivo abbandono del bosco.
Questo da un lato ha avuto riflessi positivi, perché ne ha consentito la parziale rinaturalizzazione, ne ha aumentato notevolmente le superfici, ha permesso un grosso incremento della densità che garantisce maggiore protezione nei confronti dell'azione erosiva delle acque.
Dall'altro lato, i boschi abbandonati repentinamente sono squilibrati dal punto di vista strutturale ed ecologico, e pertanto a rischio di malattie, di danni da neve e da vento, oltre al fatto che non sono sicuramente un bel biglietto da visita per il turista che vuole passeggiare o raccogliere funghi al loro interno, essendo, come si usa dire, "sporchi".
Questi fenomeni negativi sono stati accentuati dall'estrema frammentazione della proprietà, in Val di Scalve per l'85% privata, a differenza delle vicine vallate, dove prevalgono i boschi comunali, in genere più curati perché attingono a finanziamenti pubblici per le ripuliture, nonché a causa del pauroso calo del valore economico del legname, che non rende più conveniente i tagli. 
A questo proposito, è opportuno precisare che i boschi devono essere coltivati, cioè tagliati, e che il non intervento è forse più dannoso che lo sfruttamento eccessivo: la situazione ideale è quella che prevede tagli frequenti ma leggeri, ma ciò può verificarsi solo in presenza di un mercato favorevole del legname e di un'adeguata rete di viabilità forestale che, purtroppo, in Valle di Scalve risulta ancora molto carente, accrescendo notevolmente i costi degli interventi.
Ma, forse ancora più grave è il venir meno di un patrimonio di conoscenze e di rispetto nei confronti degli alberi, tramandato per tanti secoli, così che oggi spesso il bosco è visto come un nemico, che ruba terreni agricoli (o edificabili), che quasi ti entra nelle case, e che pertanto è da tener lontano, tanto più che rende poco o niente. 
Soprattutto nei giovani si nota una notevole disaffezione ed una scarsa conoscenza di questo immenso patrimonio. 
Pertanto, ben venga un'iniziativa come questa, che illustra nei minimi particolari le specie legnose autoctone della Valle, consentendone il facile riconoscimento poiché evidenzia tutti i principali aspetti degli alberi, e cioè le foglie, i fiori, i frutti, la conformazione e, addirittura, le caratteristiche del legno, che ormai pochi sanno distinguere.
Il lavoro è preciso ed accurato, prendendo in considerazione anche molte specie arbustive, ed assume una grande importanza culturale, perché diventa uno strumento importante per far conoscere e riscoprire gli alberi a tutte le persone interessate e, mi si consenta una considerazione filosofica, come in tutte le cose della vita, la conoscenza è il primo passo per il rispetto e la valorizzazione.
Rispetto anche nei confronti di un ricco patrimonio culturale del passato, lasciatoci dai nostri antenati ed oggi un po' trascurato, valorizzazione intesa anche come migliore utilizzo e non sfruttamento delle risorse naturali della Valle di Scalve, perché, ormai è assodato, economia è anche ambiente e turismo.
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Alberi e arbusti della Valle di Scalve
di Manfredo Bendotti

Con questa serie di immagini intendiamo presentare le varie piante legnose (alberi e arbusti) che crescono spontanee in Valle di Scalve.
Decidere se le piante sono spontanee o meno non è sempre facile. In genere, si sono ritenute spontanee quelle piante che vivono e si propagano in luoghi dove sicuramente non sono state introdotte dall'uomo.
Senza pretendere di fare lezioni di botanica, abbiamo cercato di fornire sinteticamente tutte quelle informazioni che possono consentire di rintracciare e riconoscere le diverse piante legnose (e i relativi legni) della Valle.
Sono state considerate in modo particolare quelle piante per le quali sia abbastanza facile osservare chiaramente la struttura del legno.
Di alcuni generi vengono presentate solo poche specie, anche se in realtà tali generi compaiono in Valle con un numero maggiore di specie (è il caso ad esempio, del genere Salix). Molte specie (o sottospecie) infatti presentano caratteri simili tra loro ed è quindi abbastanza difficile distinguerle.
Per quanto riguarda la rarità o meno, va detto che la Valle di Scalve non ha piante legnose endemiche o rare in assoluto, ma vi sono tuttavia piante che nel territorio scalvino si rinvengono raramente e con pochissimi esemplari.
Ogni specie viene indicata con i seguenti dati:
-famiglia di appartenenza;
-nome scientifico;
-nome volgare;
-nome dialettale;
-breve descrizione dei caratteri morfologici;
-distribuzione in Valle di Scalve.
Le immagini illustrano quelle caratteristiche che aiutano a riconoscere le piante, in particolare mostrano: la foglia, i fiori nelle varie forme, i frutti, il portamento.
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Climatologia della Val di Scalve e Valcamonica
di dr. Fausto Franzoni geologo

Dall'esame dei dati elaborati sin qui si possono effettuare le seguenti considerazioni di carattere generale:
- le piogge medie, da minimi compresi tra 1000 e 1100 mm, nelle aree estreme del territorio, aumentano fino a valori di 1300-1500 mm nel tratto intermedio. La maggior quantità di acqua si condensa e si scarica solitamente ai primi contatti con le correnti più sature provenienti dalla pianura e le barriere montuose a ridosso del Lago di Iseo; l'umidità residua va a precipitare più oltre, causando precipitazioni sempre meno intense man mano che ci si allontana dalla direttrice principale dei venti del quadrante S
- le precipitazioni possono subire, rispetto ai valori medi, degli scostamenti annui periodici anche di notevole entità, con oscillazioni più evidenti nelle stazioni inferiori. Gli estremi della piovosità annua possono avere degli scarti del 50-100% od anche più. La frequenza delle oscillazioni estreme è di uno ogni 20-30 anni. Scostamenti minori si hanno, con decorso sinusoidale, ogni 10-20 anni. Si è quindi in presenza di una regolare successione di periodi di circa 11 anni, in cui la media delle piogge è maggiore rispetto a quella del periodo precedente o successivo.
- Il regime piovoso va da una tipologia sub-equinoziale nelle stazioni più meridionali ad un regime equinoziale nelle stazioni intermedie e solstiziale estivo in quelle più elevate. Dal punto di vista forestale, i regimi sub-equinoziali ed equinoziali sono tipici dei boschi mesofili puri di latifoglie o misti di conifere e latifoglie. Il terzo regime è quello caratteristico del bosco di conifere microterme (abete rosso, larice, cembro). Nel caso dell'area in esame il regime udico è caratterizzato da una piovosità media piuttosto elevata, con distribuzione equinoziale, cioè con due massimi, uno primaverile (Maggio) ed uno autunnale (Ottobre), cui fanno riscontro due minimi, rispettivamente invernale (Gennaio-Dicembre) ed estivo (Agosto-Settembre).
- Dall'esame della figura 4.2, raffigurante la potenzialità pluviometrica della zona compresa tra la media Val Camonica e la Valle del torrente Dezzo, si può assumere come valore di precipitazione medio per il territorio comunale, la quantità di 1450 mm/anno. È interessante notare come l'andamento delle isoiete sia parallelo all'asse della Val Camonica, con un minimo anomalo di 1025 mm/anno nella zona di Breno, ed un massimo di 1723 mm/anno nei pressi di Vilminore di Scalve. Riguardo alla distribuzione mensile delle precipitazioni si ha un massimo di 150 mm/mese per il periodo da Maggio ad Ottobre/Novembre, interrotto da un minimo relativo in Settembre. Il minimo invernale, della durata di quattro mesi, è caratterizzato da medie mensili di poco superiori ai 50 mm/mese.
Forestalmente i regimi subequinoziali ed equinoziali sono tipici dei boschi mesofili puri di latifoglie o misti di conifere e latifoglie. Il terzo regime è quello caratteristico del bosco di conifere microterme (abete rosso, larice, cembro). Il regime udico sembra inoltre riflettere il combinarsi di influssi mediterranei e continentali: i primi espressi dal massimo primaverile (Maggio), i secondi dal meno marcato massimo autunnale (Ottobre).
Considerando la pioggia utile, cioè quella più direttamente utilizzabile dalla vegetazione, che cade da Aprile ad Ottobre, essa risulta così distribuita:
- Breno (312 m s.l.m.) mm 725 - 71,1%
- Borno - S. Annunziata (676 m s.l.m.) mm 890  -71,2%
- Angolo Terme (420 m s.l.m.) mm 922 - 68,9%
- Schilpario (1200 m s.l.m.) mm 1131 - 76,4%
- Vilminore (1018 m s.l.m.) mm 1166 - 68,8%
I dati indicano un buon bilancio idrico in senso assoluto ed una distribuzione delle precipitazioni favorevole alla vegetazione forestale: la decrescente precipitazione "utile" in senso relativo con il crescere dell'altitudine è compensata da un gradiente udico in aumento con la quota.
È però da tenere presente che, entro le condizioni generali espresse dai dati statistici di piovosità, il bilancio idrico a disposizione della vegetazione, varia entro limiti molto estesi, e questo non solo per le variazioni repentine tipicamente mediterranee della piovosità (si vedano massimi e minimi assoluti delle stazioni prese in considerazione), ma soprattutto per la diversa capacità dei terreni di trattenere gli afflussi meteorici e renderli così disponibili alla vegetazione.
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